2 giu 2010

Lettera Aperta al Presidente Napolitano nel Giorno della Festa della Repubblica

Gent.mo Onorevole Presidente Napolitano,

Questa volta, e mi permetta di prendermi tutta la presunzione che ci vuole per dirlo, Lei si è sbagliato.

Nel Suo discorso alla Nazione che ho trovato disponibile sul sito della Presidenza, Lei ha parlato di interrogativi sul futuro, di problemi e di sofrzi necessari per salvare il Paese da un baratro che, apparentemente e fortunatamente per Lei, dimostra di non conoscere a pieno.

Riprendendo come spunto un piccolo j’accuse che ho lanciato mesi fa dalle colonne – poco lette a dire la verità -del mio blog su La Stampa, questa mattina sono arrivato in ufficio con la precisa intenzione di raccontarLe una storia un po’ più precisa delle Sue onorevoli parole. Una storia vera e che conosco quasi a memoria perchè continuo a costruirla giorno dopo giorno con le mie mani in un luogo che con l’Italia ha davvero poco a che vedere.

E, mi permetta di precisarlo, non si tratta della storia di una persona partita svantaggiata e che non è riuscita a farcela: è il racconto di una figlio dell’alta borghesia italiana che proprio sfruttando il suo bagaglio culturale, le sue capacità e la possibilità economica di scappare ha deciso di investire nel proprio futuro con un biglietto di sola andata per uno degli stati dell’Unione Europea più lontani dal nostro.

Ho lasciato l’Italia per la prima volta nel 2004 ed ho finito per trasferirmi stabilmente in Estonia nel 2006 quando, crisi economica lontana mille miglia, ho pensato di aver trovato una società adatta a quello che cercavo: meritocratica e dinamica.

In quattro anni di Estonia, con le mie tasse, ho ottenuto una quantità tale di servizi che mi hanno fatto scoprire una dimensione completamente diversa della vita , facile perfino – se mi permette di sprecare così questo orribile aggettivo.

In quattro anni di Estonia – e senza parlare una parola di estone ma con un inglese che, nonostante le lamentele della mia stimatissima settantenne professoressa all’università, è semplicemente perfetto – sono riuscito a realizzare uno dopo l’altro i miei sogni scoprendo che esistono dei luoghi nei quali essere giovani non è una colpa. È un vantaggio.

Accolto a braccia aperte al Ministero dell’Istruzione ho avuto subito carta bianca per realizzare ciò che pensavo fosse utile solo sulla base del mio curriculum. Nessun concorso né cognome ad aiutarmi.
Provata la mia serità – come giornalista almeno –, passo dopo passo mi sono conquistato da solo quello che pensavo di poter raggiungere e per il quale ho fatto l’unica cosa possibile Signor Presidente, ho lavorato.

Nessuna lobby, nessun contatto, nessuno sponsor: ho dimostrato di saper fare qualcosa e questo è bastato a farmi avere ciò che persone molto più brillanti di me non sono riuscite nemmeno a sfiorare per la sola colpa di essere rimasti in Italia.

Persi tra concorsi allucinanti – la mia tesi universitaria sulla riforma del sistema universitario e basata sui migliori punti di sei sistemi già esistenti, chissà come mai, venne rifiutata...imponeva al personale accademico di lavorare... – e tra figli di che in genere rosicchiano percentuali impressionanti delle risorse disponibili, ho visto persone meravigliose rinunciare a vivere, rinunciare a sognare. Per provare a convincersi che avere la possibilità di rispondere al telefono di Sky li rende speciali. Fortunati, Signor Presidente.

Persone cresciute nell’idea che una laurea ed un dottorato potessero essere la via d’accesso più facile per realizzarsi e che ora si trovano nella melma del disastro che la flexicurity economica – flessibilità e sicurezza – crea quando ci si dimentica di garantire la security sociale.

Quattro anni lontano dall’Italia, Egregio Signor Presidente, mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto aprire gli occhi verso un mondo che, visto da così lontano, mi sembra più vicino ad una commedia di Alfred Jarry che ad un Paese dell’Unione Europea nel 2010.

L’Italia che vede Lei con i Suoi occhi, non me ne voglia Signor Presidente, è un’Italia che non esiste. Un Italia nella quale chi ruba ha la possibilità di salvarsi e chi getta fango su qualsivoglia cosa non rischia mai nulla.

Mi piacerebbe invitarLa un giorno a tornare con me in Sardegna, Signor Presidente, e vedere l’Italia che Lei ha contribuito a creare con il Suo glorioso passato senza lo schermo del vetro di un auto blu perchè, a quel punto, sono sicuro Lei proverebbe la mia stessa vergogna.

Vergogna nell’avere il solito manipolo di folkloristiche prostitute nella strada tra l’aereoporto e ma mia città, vergogna per sentire dei funzionari pubblici chiedere il permesso di soggiorno a cittadini dell’Unione Europea, vergogna per aver perfino perso la mia identità – è così Signor Presidente, firmando questa lettera con il mio nome credo di commettere reato – solo perchè un maestro anagrafico si è dimostrato in grado di sbagliare sia il nome di mia madre che quello di mio padre nel momento in cui è stato costretto a venire a contatto con la mia esistenza.

Vergogna perchè il sistema che abbiamo tutti contribuito a costruire nel nostro Paese mi constringerà a continuare la mia esistenza all’estero, a costruire una famiglia all’estero e – spero comunque non troppo presto – a portare i miei figli in vacanza per mangiare spaghetti buoni e visitare i nonni.

Perchè è questo che siamo, Signor Presidente.

Un Paese per nonni che non ha paura di darlo a vedere. Un Paese nel quale un giovane su tre non ha lavoro e, sarà la disperazione?, nessuno si ferma a pensare perchè.

Lei, Onorevole Signor Presidente, oggi ci chiede di celebrare la Repubblica Italiana, di sforzarci e di sperare.

Io, per quanto piccolo ed insignificante, oggi dico che Lei ha sbagliato. Perchè l’unico modo per celebrare gli italiani è guardarli negli occhi e chiedere scusa.

Cordialmente,

Giovanni Angioni

1 commento:

ettore ha detto...

Condivido in pieno. Pure io lavoro all'estero ed ho lasciato il nostro Belpaese anni fa. Ci ritorno volentieri per le vacanze perchè fortunatamente ancora non siamo riusciti a rovinare il clima mite e la cordialità della gente.... Per il resto, Sig Presidente, la vergogna non ha più limite.

Giovanni Angioni - g.angioni@gmail.com - facebook.com/giovanni.angioni
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