
Visto che Natale e regali vanno di pari passo anche da queste parti – a vedere la folla nei centri commerciali vien da pensare che qui sia addirittura peggio che da noi!- ho deciso di fare un piccolo regalo anche io ai lettori di questo blog.
Momento.
Nessuno si aspetti nulla di micidiale...visto il lavoro che faccio e visto che “vendere” un'idea sta diventando sempre più complesso, diciamo che il mio è un regalo simbolico...un pensiero...o, meglio, un consiglio per chi si trovasse a passare da queste parti.
Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di pensare a come siamo cambiati noi italiani, a come i segni che facevano riconoscere un nostro connazionale all'estero non siano più quelle magiche invicta sulle spalle, quei marsupi pieni fino a scoppiare o quei gridolini di piacere dati dal vedere una copia della Gazzetta dello Sport fuori da un'edicola.
Ormai - e non mi permetto di dare giudizi visto che un giorno, quando anche questo sarà parte del passato, verrà tutto avvolto da un'insolita aurea di romanticismo come l'invicta – abbiamo semplicemente altre cose.
Capelli impomatati fino a farli brillare al buio, enormi scarpe da ginnastica, vocioni che gridano al microfono di telefonini modernissimi o bizzarre scritte Dolce e Gabbana messe un po' dovunque sono diventati nuovi simboli di un paese che cambia e che cerca di adeguarsi ai suoi tempi.
Eppure, in questo tutto questo processo c'è qualcosa che il tempo non è riuscito a cambiare, che è rimasta uguale sia per noi stabilmente esiliati, sia per chi, invece, si concede solo qualche giorno oltre confine: le lamentele per il caffé.
Il popolo degli emigrati, ormai, sa che non può muoversi senza prima aver ficcato una Bialetti in valigia – consiglierei due, visto che la mia prima è scomparsa magicamente tra le cose della mia ex-coinquilina cinese – mentre quello dei vacanzieri passa una parte considerevole del proprio tempo assaggiando quanti più espresso possibile, coltivando sempre più l'idea che, in fondo, nel resto del mondo non abbiano ancora capito come diavolo si faccia un buon caffé.
Eppure, cercando cercando, delle volte si incontra una botta di fortuna, come il nuovo Illy caffé di Lai street, qui a Tallinn.
Dicembre_207_2Chiariamoci, non mi paga nessuno per questa pubblicità un po' spudorata...né – ahimé - la giovane bionda che ci lavora mi ha promesso ricompensa alcuna...anzi, direi proprio che quello che mi sta seduto vicino ha tutta l'aria di essere il suo innamorato...
è solo..che...diavolo! Il caffé di questo posto è davvero buono!
Talmente buono che non solo mi fa sentire meno la mancanza del mio paese...ma che rivaleggia in pieno con alcuni dei caffé cagliaritani che ricomincerò a bere durante le vacanze natalizie!
E se questo è un indubbio punto a favore della città, uno a sfavore va invece scagliato contro una popolazione che, diciamocelo, di caffé non ci capisce molto.
Perché?
Beh, ascoltate qui.
Quando l'estate scorsa ospitai un giornalista napoletano nel mio appartamento, lui non riuscì a non notare l'assenza -vergognosa- di buon caffé italiano e di vere e proprie tazzine da espresso.
Una mancanza talmente fastidiosa da “costringerlo” a regalarmi una preziosissima confezione in latta di Illy e due meravigliose tazzine, cosa per cui lo ringrazio ancora pubblicamente.
Ironia – unita al mio essere fondamentalmente un misero – ha voluto che io, una volta finito il delizioso caffé italiano, cominciassi a riempire la lattina marchiata bianco-rosso con del caffé economico del supermercato...anche caffé estone...
Roba da pazzi, verrebbe da dire.
E sarebbe vero se non fosse che, chiunque sia passato per casa mia non abbia mai smesso di elogiare il mio “buonissimo caffé italiano”...
...qualche giorno fa, una persona è arrivata a dire...” certo che bevi questo...è il migliore...anche io lo uso a casa...”
....
Mah.
Forse, certi piaceri, non li meritano ancora.
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