Volumetti che, per intenderci, mi hanno seguito in tutte le avventure (e gli appartamenti) di Lisbona, Parigi e Bruxelles...finendo per guadagnarsi una piccola ma non troppo brutta libreria nella nuova casuccia di Tallinn a due passi da un Sex shop, uno e mezzo da un bordello e pochi gradini dalla spogliarellista del piano di sopra.
Un posticino vivace, insomma.
Preferendo lasciare Sartre a tempi migliori e scegliendo di mettere Malraux in seconda posizione, il tuffo nel passato è iniziato con la Peste di Camus – dai, dai, provate a sfottere dicendo che è un libro da adloescenti e vi blocco l’IP così non entrate più nel blog – cinque anni dopo l’ultima (la terza?) lettura.
Leggere Camus al tempo di Berlusconi fa pure un certo effetto e, devo dire, risponde perfettamente alla domanda “chissà come sarebbe rileggere questo libro tra qualche anno”.
Camus al tempo di Berlusconi e Berlusconi in un’Italia lontana come non lo è mai stata prima.
Camus al tempo di Berlusconi e la triste fiacchezza di chi vive accettando tutto quello che gli capita intorno senza avere voglia di muovere un dito contro.
Camus al tempo dell’Italia lontana delle puttane, delle mazzette, degli appalti, del poker, delle leggi sull’editoria, delle statistiche sulla crescita economica, della televisione.
Fa impressione.
Soprattutto perchè, in quell’Italia lontana si continua a dare la colpa ad un vecchino di settant’anni per tutte le cose che una gioventù di vent’enni del cavolo non ha nemmeno voglia di provare a sognare.
Camus al tempo di Berlusconi per iniziare a pensare che, alla fine, senza Berlusconi la gente scoprirebbe di essersi messa in gabbia da sola.
E questo, giuro, fa impressione.
Soprattutto quando visto fuor dalle mura di Oran.
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